di storia
di Rovereto
COSA VIDERO QUEGLI OCCHI!
una mostra e un libro sugli uomini e le donne che si fecero e disfecero nella prima guerra mondiale, dal 1913 al 1920
La mostra all'ex Manifattura tabacchi di Rovereto e l'opera che qui presentiamo e che l'accompagna chiudono, forse per sempre, il ciclo di ricerca e di divulgazione sul Trentino e i trentini nelle due guerre mondiale che ha impegnato il Laboratorio di storia di Rovereto per tutti i trent'anni della sua esistenza. Un'esperienza lunga, spontanea, solidale, nel corso della quale le donne e gli uomini che l'hanno condivisa hanno definito i loro scopi, circoscritto il campo d'indagine, potenziato e affinato il metodo, esteso e rafforzato il radicamento nella comunità: così da potersi presentare all'esterno come un ricercatore collettivo di ineguagliabile forza nel penetrare le profondità e gli interstizi della Storia, facendone riaffiorare quel che è rimasto di quell'umanità in essa sprofondata, per restituirlo poi al racconto pubblico.
La mostra e il libro non sono che l'ultima conferma di questo movimento a pendolo fra ricercatori e ricercati, fra generazioni che hanno trovato lo spazio e il modo di trasmettersi conoscenza, fra una comunità e un cuore pensante che fa storia da dentro: senza forzature, né pregiudizi ideologici o tesi precostituite, lasciando ad altri la retorica dell'anti o pro, i vacui riti della celebrazione e della monumentalizzazione, le fiere della vanità accademica, la manifestazione dell'ignoranza. In fondo, il Laboratorio di storia altro non è che un rigattiere a cui chi attraversò le guerre del Novecento, entrando in altri mondi (magari senza più uscirne), consegna, per mano di chi le ha conservate, le prove di questo passaggio/attraversamento in forma di scritture, racconti, immagini, oggetti, consunti e in disuso. Una straordinaria autobiografia sommersa, disordinata e frammentata, che aspettava il tempo giusto e le mani pazienti e pietose di un demiurgo per riemergere e ricomporsi, mostrarsi per quel che è - autorappresentazione di un Corpo che la Storia ha continuamente e profondamente dilacerato e ferito, separato e contrapposto, disperso su territori sterminati, affaticato con esperienze estreme -, facendosi fattore di senso. Nessuno che abbia la pretesa o che si carichi del compito di studiare e raccontare quelle vicende potrà mai prescindere dal contenuto di verità racchiuso dentro l'universo (auto)rappresentativo, reale e immaginifico, del popolo scomparso.
La mostra e il libro portano in scena, riordinandole, le prove della scomparsa e le tracce degli scomparsi, qui soldati e prigionieri e militarizzati, così com'era stato in precedenza per i profughi. Ognuno dei due mezzi ha qualcosa in più rispetto all'altro: la mostra ha il cinema e gli oggetti, quel suo aspetto terrigno e la forza dell'allestimento; il libro, la vastità della fotografia e della scrittura, e la certezza della permanenza nelle case e nel tempo. Ma entrambi convergono in una superiore unità narrativa, che è il risultato di una tecnica e di un'arte simili a quelle praticate in quell'estremo oriente in cui molti ex prigionieri trentini si trovarono a fine guerra e per molto dopo e che potrebbero averne serbato e riportato in patria il fascino e il segreto, perché se ne facesse uso traslato nel campo della memoria. Nella lingua giapponese kin significa oro e tsugi riparazione; e kintsugi è la tecnica/arte di attaccare con l'oro i cocci dei vasi rotti, rendendoli ancora più preziosi di quando erano intatti. Non è di tutti saperlo fare, ma a tutti è dato di goderne.
Il Laboratorio di storia di Rovereto.