di storia
di Rovereto
Allinaugurazione dellesposizione collocata presso Palazzo Alberti Poja erano presenti tra gli altri lAssessore alla cultura della Provincia Autonoma di Trento, Tiziano Mellarini; Giovanni Anichini, Presidente della Fondazione Museo Civico di Rovereto; Maurizio Tomazzoni, Assessore alla Cultura del Comune di Rovereto; Teresa Untersteiner, del Ministero dellintegrazione e degli Affari Esteri austriaco; Alberto Miorandi e Camillo Zadra rispettivamente Presidente e Provveditore del Museo della Guerra di Rovereto; Elisa Trenti e Diego Leoni del laboratorio di Storia di Rovereto.
Fra tutti gli oggetti che accompagnarono i trentini nei loro viaggi di andata e ritorno verso e dall'esilio, uno si mostra più degli altri: il baule. Perché chi poté averlo con sé vi sistemò le poche cose sue e dei suoi cari, lo tenne in gran conto sui treni e in terra straniera, lo riportò in patria, e lo conservò come memoria materiale di quell'esperienza. Quel baule, quei bauli, proprio per questo, assurgono oggi a simbolo dei nostri profughi, impronte del loro essere e del loro andare; così come gli zainetti che hanno attraversato il mare assieme a chi li portava sono il simbolo dei migranti di oggi. Dentro furono conservate, e si trovano, le altre tracce degli spostati di quella prima guerra mondiale: numerose, indelebili, forti, nemiche di retoriche e strumentalizzazioni. Sono, esse, ancora oggetti d'uso quotidiano, ma soprattutto fotografie e scritture, grazie alle quali quel popolo scomparso tentò di darsi ragione di un evento irragionevole che lo trascinava via dalle proprie terre e case e lo mescolava ad altri milioni di fuggiaschi da altre terre, ad altri popoli, ad altre culture, altre fedi, altre lingue, altri palati.
Centomila furono i trentini esiliati dai due eserciti in lotta, quasi un terzo dell'intera popolazione, verso le regioni più settentrionali dell'Impero e quelle più meridionali del Regno; scarmigliati da un capo all'altro dell'Europa, divisi, spaesati, costretti dalla guerra totale a vivere negli immensi campi profughi (le città di legno), a vedersi trattati ovunque con diffidenza, da stranieri in patria. Infine, a guerra conclusa, rientrati nei loro paesi ormai ridotti a cumuli di sassi e calce. Allora come oggi, uomini e donne e bambini trascinati dal flusso circolare di quella Storia che lì ebbe inizio e che non ha mai smesso di generare, Madre-Matrigna, guerre, distruzioni e lutti; esili, fughe e migrazioni.
Con quegli oggetti, quelle scritture autobiografiche, quegli autoritratti, scampati alle insidie del tempo e delle rimozioni, è costruita la mostra, così come il libro da cui è nata. Frammenti di memoria, segni di esistenza e resistenza, recuperati pazientemente e in ogni dove - dall'Italia all'Austria alla Boemia, in archivi pubblici e familiari - dalle mani di decine e decine di collaboratori e ricercatori; ricomposti e restituiti sotto forma di grande racconto visivo alla Comunità che li ha prima prodotti e poi custoditi. Mostra e libro ad ammonire, anche, che fra gli spostati di ieri e quelli di oggi (che sono ormai più di sessanta milioni) c'è un filo di ricordo e di dolore che li accomuna.