di storia
di Rovereto
Gino Angelo Marco Tedeschi nasce a Verona il 17 ottobre 1884 da Fortunato e Elisa Angeli.
Laureato in legge, rappresentante di commercio, nel 1921 sposa Amelia Reina, milanese, cattolica.
Nel 1936, insieme alla moglie, trasferisce la propria residenza ad Arco, a Villa Iolanda. La moglie morirà nel gennaio 1944 e, fino a quella data, Gino non subisce eccessive persecuzioni. Ma anche dopo, convinto di non avere nulla da temere, non dà ascolto ai ripetuti inviti di nascondersi e mettersi in salvo, che gli pervenivano da amici e persino da alcuni funzionari pubblici.
Testimonia Leo Zelikowski: "Quando tornai da Auschwitz e mi informai sulla sorte degli altri, mi fu raccontato che Gino Tedeschi era stato avvisato che sarebbe stato arrestato ma non volle prendere alcuna precauzione, perché non aveva fatto alcun male e perché si sentiva ancora ufficiale dell'esercito. Si era infatti distinto nella prima guerra mondiale, meritandosi la medaglia d'argento".
Leopoldina Ischia, la fedele domestica dei Tedeschi afferma: "Si sarebbe potuto nascondere nel convento di San Martino, dove avrebbe trovato ospitalità, ma egli non lo ritenne necessario".
Il 2 maggio 1944 Gino Tedeschi viene arrestato, su ordine delle autorità tedesche, dal capo delle guardie di Arco e da due soldati tedeschi: l'ho visto con il cagnolino, accompagnato da un gendarme, all'angolo dell'ex Cassa Rurale, racconta un testimone.
Il suo arresto provoca un'enorme impressione ad Arco, perché è stimato da tutti per la sua signorilità e la sua gentilezza, pur essendo di poche parole.
Lo portano nella caserma dei carabinieri, nei pressi della quale si vedrà vagare per qualche settimana il cagnolino Nanni.
È trasferito nel carcere di Trento il 5 maggio 1944 e di lì al campo di concentramento di Fossoli (Modena), dopo inutili tentativi per far intercedere a suo favore il Commissario de Bertolini e il vescovo de Ferrari.
La corrispondenza che Tedeschi riesce a far pervenire ad amici e conoscenti durante la detenzione dimostra la sua bontà d'animo, la speranza e la composta rassegnazione per un destino così maligno.
Da Fossoli il 24 giugno 1944, alla cara Poldina: "Oggi poi ho avuto una dolorosa notizia, lunedì si parte per la Germania, chissà quando potremo vederci, spererei si potesse almeno scrivere, ad ogni modo sto bene e il coraggio non mi manca. Fatti animo anche tu e sappi che ti penso sempre per la tua grande bontà".
Deportato da Fossoli ad Auschwitz con il trasporto del 26 giugno 1944, è ucciso all'arrivo nel campo polacco, il 30 giugno 1944.
Maria Luisa Crosina, Le storie ritrovate, Trento 1995
Laboratorio di storia di Rovereto "Il diradarsi dell'oscurità", 2010 (II/342)